di Olga Chieffi
Ci eravamo ritrovati con un Daniel Oren emozionato e commosso, in una ventosa serata di luglio all’Arena del Mare. Un “pathire” lunghissimo, lontano dal Viaggio, lontano dai palcoscenici, dal contatto con i musicisti, l’applauso del pubblico, da quel “far musica insieme”, assolto unicamente dal sorriso musicale della sua famiglia. Quel “pathire” lo sentimmo per intero nei tre accordi iniziali della sinfonia de’ “La forza del Destino”, una scelta che schizzava perfettamente la realtà appena trascorsa, ma non risolta, poiché la musica, l’opera si fa in teatro. Eravamo speranzosi di assistere alla Vedova Allegra, andata in scena nella prima decade di settembre, dal palchetto abituale, ma non era ancora il momento. Il desiderio di musica ha portato, invece, tutto lo staff del teatro Verdi ancora una volta ad inventarsi l’impossibile nel parco del Ghirelli. Ora, le porte del teatro Verdi desiderano essere riaperte e si spera di farlo, in tutta sicurezza, sulle note del Nabucco. E’questa un’opera che Daniel Oren “sente” con tutto se stesso e cerca di offrirne sempre una linea di lettura fortemente ritmata, esasperando i contrasti, in cui invita l’orchestra a seguire la parola. Una parola che qui si fa di-segno, progetto, per un futuro, in cui le arti non possono e non devono essere messe in un angolo. Nabucco è l’opera del “Va’, pensiero, sull’ ali dorate; va’, ti posa sui clivi, sui colli, ove olezzano tepide e molli l’aure dolci del suolo natal!”, il più famoso coro del melodramma italiano, col suo salto musicale di ottava su “ali”, come a spiccare idealmente il volo verso una libertà agognata, un diritto umano (“chi è libero di pensiero è già libero nello spirito” diceva un noto rivoluzionario), un coro semplice, ad una voce (…né poteva essere altrimenti), che tutti noi potremmo anche cantare insieme ai maestri. Immaginiamo che il nostro direttore artistico l’abbia scelto per il suo messaggio di libertà, liberazione che si ripercuote sui destini di entrambi i popoli che si fronteggiano. Folle vibranti di questo “popol di Giuda”, che grida, che impreca, che trepida per la propria sorte, che interpella i propri capi, Zaccaria e Ismaele, e dialoga con loro in una specie di gran comizio musicale. La coralità fluisce come una fiumana e impone alla musica norma e forma: c’è poco posto per i problemi di aria e recitativo, là dove l’espressione collettiva straripa e invade ogni angolo dell’opera, e la simulazione teatrale d’una liturgia recupera i valori antichi della musica sacra, iniettandogli il pungolo della tensione drammatica. Sarebbe stato, forse, più semplice iniziare con Gianni Schicchi, opera che avrebbe dovuto inaugurare il cartellone insieme a Cavalleria Rusticana, ma per il suo teatro Daniel Oren vuole un segno forte che solo il Verdi risorgimentale sa offrire. Se il cast resterà quello annunciato in febbraio, la gemma sarà la voce assoluta di Ambrogio Maestri, che ricordiamo nel nostro teatro, insuperabile Scarpia e simpaticissimo Dottor Dulcamara. La settimana prossima sarà dedicata anche a rimodulare stagioni e riaperture del teatro Pasolini e, naturalmente, c’è attesa anche per la stagione di prosa, in cui sarà Alfredo Balsamo a fare da croupier, una richiesta sicuramente più semplice da realizzare nell’immediato del cartellone operistico.